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LUCIO BATTISTI | UNA GIORNATA UGGIOSA Discografia commentata di Luciano Ceri

Aggiornamento: 11 ott 2021


Squadra che vince non si cambia, ed allora Battisti decide di tornare in Inghilterra per affidarsi ancora alle cure di Geoff Westley nella realizzazione del nuovo disco, al quale delega nuovamente gli arrangiamenti e la produzione. Sarà l'ultimo disco scritto con Mogol, che chiude una collaborazione che durava ormai da quattordici anni e sulla fine della quale si sbizzarriranno le cronache, musicali e non, del Paese. Né poteva essere diversamente, vista la ormai più che consistente schiera di ammiratori di tutte le età che la coppia era riuscita a conquistare in tanti anni di frequentazione del mercato e delle classifiche discografiche.


Westley tuttavia cambiò quasi interamente la formazione dei musicisti chiamati per le registrazioni di Una giornata uggiosa, rispetto a quella con la quale aveva realizzato Una donna per amico. Mantenne soltanto il percussionista Frank Ricotti, utilizzò ben cinque bassisti diversi e fece ricorso, molto più che nel disco precedente, ad una sezione di fiati formata dalla tromba di Martin Drover, dal sassofono di Mel Collins e dal trombone di Malcom Griffiths, mentre alla consolle della Town House di Londra, dove venne registrato il disco, venne confermato Greg Walsh.


Se in Una donna per amico Westley si era distinto per il grande gusto e le brillanti idee di arrangiamento con le quali era riuscito nell'intento di valorizzare al massimo le canzoni senza tuttavia far perdere di vista il cantante, nel nuovo disco sembra succedere quasi tutto il contrario. Forse fu condizionato dall'impatto meno forte dei nuovi brani rispetto ai precedenti o forse ubbidì soltanto ad una sua personale scelta artistica, ma sta di fatto che tutte le canzoni risultano come super-prodotte, con le tastiere sintetiche che in certi casi sottolineano e abbelliscono in eccesso, e con una generale impronta marcatamente pop che non si addiceva molto ad un autore multiforme come Battisti, che certo all'ambito del pop non era estraneo, ma che tuttavia lo aveva sempre mescolato sapientemente con impronte rock, blues e di canzone d'autore.


Non sembrava insomma per lui particolarmente ideale la cornice pop luccicante e levigata che invece Westley aveva voluto costruirgli intorno, e bastava ascoltare un pezzo come Con il nastro rosa, impreziosito dalle chitarre di Phil Palmer, per rendersi invece conto che una produzione più misurata sulla scelta dei suoni e puntata sui contrappunti delle chitarre piuttosto che su quelli delle tastiere avrebbe sicuramente giovato di più a molte delle canzoni del disco. Un pezzo come Arrivederci a questa sera, ad esempio, veniva decisamente soffocato da una linea di basso molto pesante che finiva per tradire la originale leggerezza della canzone, e Una vita viva, una delle migliori dell'album anche come testo, veniva tutto sommato risolta come una specie di marcetta, valorizzando poco il contrasto tra le sequenze melodiche che la componevano.


Non è un caso che le due canzoni che meglio delle altre si adattavano alla veste sonora creata da Westley erano quelle con il potenziale ritmico più forte, vale a dire Il monolocale e Una giornata uggiosa, che riuscivano ad assorbire il pieno sonoro degli arrangiamenti grazie proprio alla naturale esuberanza della loro struttura ritmica. Il disco infine registrava da parte di Battisti un'attenzione particolare al doppiaggio delle parti cantate, sia nei casi di semplice sovrapposizione che in quelli di armonizzazione, circostanza che venne adeguatamente sottolineata nelle note di copertina con una dicitura piuttosto esplicita, "musica e voce di Lucio Battisti".


La storia di Battisti e Mogol dunque finiva tra le brume inglesi (o brianzole) di una giornata uggiosa, con un disco dove né l'uno né l'altro si erano espressi al meglio e dove soprattutto Mogol sembrava patire una routine compositiva alla quale non riusciva ad esprimere quegli scatti di stile e quelle impennate poetiche che avevano contraddistinto la sua scrittura. La loro collaborazione raggiungeva dunque una impasse, la stessa evocata nella bella canzone che chiudeva l'album, quasi il resoconto di un sogno da parte di Mogol. E, come tutti i veri sogni, con qualcosa di profetico nelle sue parole: "Chissà chi sei, chissà che sarai, chissà che sarà di noi: Lo scopriremo solo vivendo".



(Tratto da "Pensieri e parole" di Luciano Ceri, 1996)

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