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LUCIO BATTISTI | IO TU NOI TUTTI Discografia commentata di Luciano Ceri


Dopo tre dischi che si erano rivelati molto diversi dalle grandi realizzazioni del 1972 e dopo aver cercato con vari stimoli musicali di uscire da una routine compositiva e di realizzazione della quale probabilmente cominciava a sentire il peso, Battisti decise di cambiare aria e di andare a registrare il nuovo album negli Stati Uniti d'America, e precisamente negli studi della RCA ad Hollywood, California.


Il progetto era in realtà più ampio, e prevedeva prima la realizzazione di un album cantato in inglese, attraverso il quale tentare la difficilissima avventura di farsi conoscere nello sterminato mercato discografico americano, iperselettivo e poco propenso di attenzioni nei confronti di artisti europei non di provenienza anglosassone.

Americani sono i musicisti chiamati a collaborare in studio, tutti di grande livello, a cominciare dal batterista Hal Blaine (Elvis Presley e Simon & Garfunkel, tra gli artisti con i quali aveva suonato) per arrivare ai chitarristi Dennis Budimir e Jim Hughart (già collaboratori rispettivamente di Frank Zappa e Tom Waits) e al tastierista Michael Boddicker, più volte al fianco di Quincy Jenes.

Battisti, come sua consuetudine, si unisce a loro per suonare le chitarre elettriche ed acustiche e in loro favore deve rinunciare ai musicisti italiani con i quali aveva iniziato la preparazione dell'album e la stesura delle canzoni, impossibilitati a suonare negli Stati Uniti d'America a causa di una rigorosa disciplina sindacale, che privilegia sempre e comunque i musicisti statunitensi rispetto agli stranieri. Il testierista Mike Melvoin, ex componente dei Fifth Dimension e turnista di lusso della scena rock americana, firma gli arrangiamenti insieme a Battisti, che divide con Bones Howe, già produttore di Tom Waits, le responsabilità della produzione. Howe tuttavia lascerà ad un certo punto il progetto per precedenti e inderogabili impegni, e il suo posto sarà preso da Joe Reisman.


La scelta dei collaboratori si rivela felice, perché alla fine l'album che ne viene fuori ha una sua precisa identità, scorre piacevolmente dal primo all'ultimo solco, e tutte le canzoni, tornate ad essere toccate dal vento dell'ispirazione, sono valorizzate al meglio. A cominciare dall'accoppiata vincente del singolo, Amarsi un po' / Si, viaggiare, che riporta di prepotenza Battisti nelle classifiche e che aggiunge altre due piccole perle nello scrigno prezioso delle sue composizioni migliori.


L'esperienza di Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera non era comunque passata invano visto che proprio Amarsi un po' si riallaccia, come struttura, al disco precedente: è infatti un riff ritmico di chitarra e basso a costituire poi l'ossatura su cui si articola la bella linea melodica della canzone, arricchita da un testo molto poetico di Mogol, che si concede un delizioso ossimoro finale: "vicini ma irraggiungibili". Ritmica in primo piano anche per Sì, viaggiare, anche se qui non è tanto il riff del basso a comandare il gioco, quanto la sequenza ritmica degli accordi della strofa, che poi con estrema naturalezza introducono la grande idea melodica del ritornello, una di quelle frasi musicali capaci di riagganciarsi continuamente a se stessa, in una sorta di tema musicale senza fine. Di grande effetto inoltre la performance di Battisti ai cori (non solo in questa canzone, ma in tutto l'album), a testimonianza di un interesse mai sopito per gli impasti vocali, nei confronti dei quali aveva dimostrato una particolare predisposizione sin dall'inizio della sua avventura discografica, quando se ne occupava nell'ambito della realizzazione dei dischi dei Dik Dik.


Oltre a questi due picchi il disco comunque offre altre belle canzoni, come Soli, una delicata riflessione sull'amore con un inciso decisamente riuscito che però, abbastanza singolarmente, compare soltanto una volta, e Ho un anno di più, aperta da tastiere pirotecniche e con un testo particolarmente autobiografico da parte di Mogol, con una bella trovata melodica quando inaspettatamente la canzone, che sembra avviata sul binario delle tre strofe, inserisce proprio al posto della terza strofa un inciso molto efficace ed anche in questo caso non ripetuto, e ancora poi un altro inserto nella quarta strofa, prima di riprendere il tema del brano. Anche Questione di cellule è molto interessante, perché, oltre ad offrire una riuscitissima figura ritmica di chitarra elettrica, ripropone una di quelle insolite sequenze armoniche che avevano caratterizzato la scrittura musicale di Battisti dei primi anni Settanta. Una delle caratteristiche musicali del disco è poi costituita dall'utilizzazione di tre chitarre elettriche contemporaneamente (Ray Parker, Dennis Budimir e Danny Ferguson), quasi sempre in chiave ritmica, come succede in Neanche un minuto di "non amore", Ami ancora Elisa (anche qui presente una sorta di inciso non ripetuto) e L'interprete di un film, mentre gli abbellimenti melodici, come gli incipit di Amarsi un po' e Sì, viaggiare, sono quasi sempre affidati ai sintetizzatori di Mike Melvoin e Michael Boddicker.


Ivan Graziani: "Ricordo che preparammo tutte le basi di Io tu noi tutti al mulino, con lo stesso gruppo di musicisti con i quali Lucio aveva fatto il disco di Ancora tu; non so poi come lui abbia utilizzato quelle basi, e non saprei dire in quale maniera intervennero poi i musicisti americani, forse hanno doppiato, hanno aggiunto, ma io ricordo che le preparammo queste basi, mi ricordo perfettamente per esempio di quando registrammo Questione di cellule, con Battisti che era molto rilassato e tranquillo. Poi quando tornò ci parlò di come aveva lavorato, delle differenze che aveva trovato nel modo di lavorare rispetto all'Italia, ci raccontò la storia del classico chitarrista alto, biondo e bello che era venuto a fargli due acustiche, aveva preso i soldi e se n'era andato; insomma, era rimasto molto colpito dalla grande professionalità degli americani".


Un anonimo dirigente della RCA intervistato, all'epoca della pubblicazione del disco, da Aldo Bagli: "Battisti è andato a Los Angeles per dar vita a un prodotto destinato unicamente al mercato americano. Se i tempi di lavorazione fossero stati rispettati, a novembre dello scorso anno sarebbe dovuto tornare a casa per registrare il disco in italiano al Mulino. Ma Lucio ha dei ritmi lavorativi un po' lenti e perciò ci siamo trovati per quel mese ancora in alto mare. E allora per non uscire in Italia a giugno abbiamo ritenuto opportuno incidere anche il disco in italiano a Los Angeles. Crediamo che Lucio sia, almeno per il momento, uno dei pochi cantanti italiani ad avere una statura internazionale. E da quattro anni stiamo lavorando in questo senso. Prima con il famoso viaggio in Sudamerica, con il quale l'artista è venuto a contatto con la musica di quei luoghi, e poi con la puntata americana dello scorso anno di Ancora tu. Insomma abbiamo abituato Lucio ad uscire dal guscio. Naturalmente in secondo luogo c'è la stima che oggi nutrono gli americani per lui. Quasi tutti hanno di lui questo parere: "Un ragazzo che ha un talento incredibile, cosa molto difficile da trovare nel nostro ambiente". Inoltre in America ogni minuto che un musicista passa in studio deve essere retribuito regolarmente, mentre invece i ragazzi che hanno accompagnato Lucio, finito il lavoro ordinario, rimanevano in sala con lui ad improvvisare nuove canzoni: delle vere session. E naturalmente per questo tipo di straordinario non hanno voluto un dollaro. Ci saranno suoi vecchi brani celebri come Il mio canto libero, Ancora tu, La canzone del sole ed anche dei pezzi di Io tu noi tutti. Agli americani è piaciuto in particolar modo Il mio canto libero che nella loro lingua si intitolerà Freedom song. All'inizio abbiamo avuto dei problemi con i testi: erano stati tradotti troppo letteralmente e quindi risultavano essere quasi incomprensibili. Un gran lavoro in questo senso l'ha fatto Mogol che è riuscito a riportarli in un inglese di tutti i giorni, senza però intaccarne lo spirito".


Claudio Maioli: "Non mi ricordo bene quando ci mettemmo a registrare le canzoni di Io tu noi tutti. L'anno era sicuramente il 1976, perché gli eventi si accavallarono, era appena uscito Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera e noi subito dopo cominciammo a registrare i provini di Io tu noi tutti, sempre al Mulino, e sempre noi quattro, io, Calloni, Bullen e Graziani. Seppi solo qualche tempo dopo che quei provini erano diventati il nuovo disco di Lucio, perché riascoltandoli pensai che li aveva fatti rifare tali e quali a come li avevamo realizzati noi. Registrammo sicuramente Sì, viaggiare, Amarsi un po', Questione di cellule ed Ami ancora Elisa, degli altri non ho un ricordo altrettanto preciso. Credo di poter dire che nel frattempo eravamo diventati piuttosto affiatati, e per alcune delle basi che realizzammo Lucio fu soddisfatto subito, non proprio buona la prima ma quasi, e la cura con cui le realizzavamo non era la cura che si impiega per fare un demo; insomma avevamo tutti quanti l'impressione che potesse essere il nuovo disco di Battisti. Sapemmo poi che Lucio aveva deciso di andare ad incidere negli Stati Uniti e voleva portarsi dietro Walter, ma non poté per questioni sindacali, perché le leggi americane non consentono a musicisti stranieri di lavorare in sala di incisione e forse era proprio questo il motivo per il quale rifece tutto il disco con musicisti americani".


Paolo Somigli a proposito di Amarsi un po': "Bello l'arrangiamento, efficacissimo e moderno per l'epoca; Lucio ci ha sicuramente messo lo zampino. Lui suona sicuramente la ritmica acustica, e qualche americano di passaggio l'elettrica. La prima sorpresa all'ascolto riguarda gli storici sedicesimi iniziali del riff: si tratta di una frase di elettrica pulita, un po' funky, all'unisono con il basso. Ebbene, tutti quanti eravamo pronti a giurare sul fatto che sul primo movimento di ogni battuta partisse una sequenza di tre-sedicesimi-tre. Macché: in battere c'è una pausa, i sedicesimi sono quindi solo due: Geniale...".


(Da "Pensieri e parole" di Luciano Ceri - Coniglio Editore 2008)




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