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MASSIMO LUCA | ANIMA LATINA È UN DISCO STRANISSIMO, DI GRANDE SPERIMENTAZIONE...

Aggiornamento: 11 apr 2022


Massimo Luca: "Anima Latina è un disco stranissimo, decisamente non commerciale e con una lunga gestazione, visto che a un certo punto Lucio ci richiamò in sala per rifare quasi tutte le canzoni. Era comunque un album di grande sperimentazione, dall'ascolto del quale veniva fuori soprattutto la chitarra elettrica di Lucio. Infatti la suonò solo lui mentre io mi limitai alle acustiche, anche perchè stava usando un effetto particolare, che non so dove avesse comprato, quasi un primo tentativo di synt per chitarra, con dei suoni stravolti, acidi, molto originali, che si sentono all'inizio di Due mondi.

Sempre su quella canzone, quando comincia la seconda strofa ed entrano le chitarre acustiche, si sente un suono strano, come se fosse un'arpa o una chitarrina paraguayana, mentre in realtà era una cetra di plastica per bambini, che io la mattina in cui registrammo andai a comprare alla Upim in Piazzale Loreto. La accordai in qualche modo con delle pinze e in venti minuti, nell'anticamera dello studio, imparai quelle quattro posizioni di accordi che mi servivano per il pezzo, e fu una bella invenzione, con un effetto molto originale.

Suonare con Battisti ha dato un senso alla mia vita dal punto di vista musicale, perchè durante il periodo che lavoravo con lui ed in quello immediatamente successivo ero diventato uno dei chitarristi più richiesti in Italia, per cui avevo sempre moltissimo lavoro. È stato per me un periodo magico, ho veramente costruito la mia carriera di musicista attraverso l'esperienza di Lucio ed in questo senso gli devo moltissimo.

Tuttavia mi è capitato spesso, quando ero in studio a registrare i suoi dischi, di avvertire in senso di disagio, ed era una sensazione che non mi faceva stare del tutto sereno, anche se poi con lui non ho mai avuto occasione di parlarne. Avvertivo da parte sua una specie di gelosia nei miei confronti, proprio in riferimento al suo ruolo di chitarrista, magari perchè io avevo un certo tipo di tocco cristallino e pulito che lui non sempre aveva o perchè maturavo delle idee che a lui non erano venute in mente. In realtà io, libero dal coinvolgimento che ti comporta il fatto di essere sia l'autore che l'interprete di un pezzo, mi ponevo di fronte alla canzone soltanto come chitarrista, e mi facevo un'idea molto precisa di quello che potevo suonare su ogni singola canzone.

Lui invece aveva la forza della creatività, il coinvolgimento del chitarrismo legato fortemente alla musica che aveva scritto. In questo senso non ho sempre vissuto serenamente le sedute di registrazione con lui, perchè quando suonavo mi sentivo sempre sotto osservazione, avevo sempre paura di fare qualcosa in più, oltre al fatto che naturalmente avevo una sorta di soggezione nei suoi confronti, perchè lui era già un grande personaggio ed io tutto sommato un giovane chitarrista che cominciava si può dire allora la sua carriera.

D'altra parte non sono, per natura, una persona che si rende antipatica o spigolosa, tendo sempre a mediare e a non polemizzare inutilmente, ma questa specie di invidia mista a rabbia, questa sensazione quasi di fastidio che avvertivo da parte sua nei miei confronti è una cosa che mi sono sentito addosso per anni. Certe volte cercava ad esempio di delineare molto le mie parti, e in questo modo non mi faceva sentir libero psicologicamente di suonare e di sentirmi protagonista, come poi in effetti si sente dai dischi, dove la mia chitarra acustica molte volte è in primissimo piano.

In realtà credo che questo tipo di situazione psicologica, per cui in ultima analisi il chitarrista era lui ed io ero il chitarrista aggiunto, si instaurava soltanto nella fase di produzione e di realizzazione del disco. Visto che poi lui in fase di missaggio si rendeva conto dei pesi diversi delle due chitarre e le dosava adeguatamente, ed infatti nei dischi le chitarre suonate da me le sento molto bene. Probabilmente aveva grande rispetto per me e forse anche grande stima, anche perchè altrimenti non credo che mi avrebbe richiamato a suonare con lui.

Con i batteristi e i bassisti, ad esempio, era esigentissimo, certe volte cercava a lungo quel singolo colpo o quella fuga ritmica in modo che venisse fuori esattamente quello che aveva in testa.

In altre occasioni ci sollecitava a cercare e a trovare soluzioni, che poi apprezzava e teneva per buone, insomma era sempre molto lucido su quello che voleva ottenere, che fosse una sua precisa idea o uno spunto venuto dai musicisti. Amava molto avere un gruppo in studio con cui lavorare, i pezzi erano sempre suonati tutti in diretta, con poche sovraincisioni e con la sua voce guida, e spesso le voci guida sono poi diventate quelle definitive, perchè, come tutti i veri cantautori strumentisti, si trovava a disagio a cantare soltanto sovrapponendosi alla base, senza suonare lo strumento.

È un'esigenza generalizzata, non soltanto sua, come poi ho avuto modo di capire lavorando con altri cantautori, come ad esempio con Fabio Concato: è una questione di punti di riferimento, per cui devono cantare suonando, perchè probabilmente in questo modo lo strumento suggerisce degli appoggi vocali che invece la base da sola non riesce a dare. O magari gli appoggi sono solo psicologici, come se si trattasse di una coperta di Linus evoluta. D'altro canto però, a fronte di questo piacere di fare le cose tutti insieme, c'era anche da parte sua, e questo l'ho capito dopo, la necessità di salvaguardare la propria creatività nei confronti di noi giovani strumentisti, musicalmente aggressivi e con la voglia di suonare a mille: sapeva che doveva stare attento, che doveva conservare il suo nucleo creativo e servirsi di noi all'interno di quello che era comunque il suo progetto artistico".


(Tratto da "Pensieri e parole" di Luciano Ceri, 1996)


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