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IVAN GRAZIANI | IN STUDIO PER REGISTRARE "LA BATTERIA, IL CONTRABBASSO, ECCETERA"

Aggiornamento: 11 apr 2022


Ivan Graziani: "Io facevo già il turnista, da un anno e mezzo circa, e siccome mi capitava spesso di suonare in studio insieme a Walter Calloni, Hugh Bullen, Claudio Maioli e Claudio Pascoli, avevamo formato una specie di gruppo di musicisti di sala d'incisione, che poi in un secondo momento volevamo chiamare I Ragazzi Del Mulino, visto che andavamo sempre a suonare al Mulino, lo studio di registrazione di Anzano Del Parco di Mogol e Battisti. Uno studio molto bello, completamente diverso dagli altri, un posto in campagna, con un laghetto, molto rilassante. Lucio in quel periodo stava cambiando gli elementi con i quali di solito faceva i dischi, aveva chiesto un pò in giro, gli avevano parlato bene di questo gruppo e in particolare di me, per cui ci fece chiamare dalla segreteria della Numero Uno, naturalmente con nostro grande piacere. Mi ricordo che Walter Calloni era proprio un ragazzino, aveva poco più di diciott'anni, per cui passò all'improvviso dall'anonimato al fatto di suonare con il numero uno della canzone italiana; era davvero una grande opportunità per lui, ma del resto lo era per noi tutti.

Lucio fin dall'inizio fu molto esplicito con noi, per esempio a me chiese di fargli sentire qualche cosa sulla chitarra e dopo che io avevo suonato mi disse: "Beh, queste cose portatele a casa tua, a me serve che tu in questo disco faccia così e così". E devo dire che con lui ho quasi ricominciato a suonare la chitarra elettrica, perchè fino a quel momento nei turni che avevo fatto per gli altri artisti ero stato lasciato sempre molto libero, facevo un paio di interventi e il pezzo era pronto, e soprattutto suonavo la chitarra acustica: mentre lui invece dell'acustica non ne voleva sapere, ed io d'altra parte, dopo l'esperienza con l'Anonima Sound, l'elettrica l'avevo quasi abbandonata, per cui per me fu la riscoperta di uno strumento che avevo completamente dimenticato.


Avevo una Fender Telecaster, con la quale poi feci uno scambio con Lucio proprio in occasione di quel disco; ma Lucio ne era veramente innamorato, così ci mettemmo d'accordo e lui mi dette in cambio una bellissima Epiphone color ciliegia del 1965, che aveva preso da Eric Clapton, quando era andato in Inghilterra a contattare gli Hollies che dovevano venire a Sanremo con un pezzo suo, Non prego per me.

Una caratteristica essenziale di Lucio, a cui devo moltissimo perchè i rudimenti del mestiere di suonatore solitario credo onestamente di averli imparati da lui, consisteva nella estrema determinazione su quello che voleva ottenere in sala: a me certe volte faceva addirittura vedere come voleva la pennata e la contropennata, e se per esempio diceva che il pezzo andava rifatto era perfettamente inutile che tutti quanti noi dicessimo che era venuto bene, non riuscivi a smuoverlo. Soprattutto non voleva sentirsi dire che il tal pezzo lo aveva cantato benissimo, perchè gli faceva venire in mente i cantanti che spaccavano la nota, mentre quello era un tipo di canto che a lui non interessava affatto, diceva che il canto doveva essere groovy, doveva avere soprattutto un'onda d'emozione.


La compagnia, ad esempio, la facemmo due volte e la prima era venuta benissimo, noi eravamo tutti molto soddisfatti, ma lui non era convinto e disse subito: "Non va bene, rifacciamola da capo", e alla fine preferì tenere la seconda. Anche di No dottore facemmo due versioni, la prima era molto strana, molto particolare, e anche in quel caso lui volle rifarne subito un'altra, che è poi quella che appare sul disco.

Per Ancora tu invece registrammo all'inizio soltanto charleston, basso e cassa, per ottenere l'effetto ritmico che aveva in mente, e poi siamo andati tutti quanti in sala a fare il resto, con Calloni in cuffia che suonava soltanto il rullante. E per quel periodo era una cosa straordinariamente nuova. Insomma, in studio era sempre molto concentrato su quello che faceva, anche se ogni tanto qualche battuta spiritosa la diceva pure lui, per alleggerire magari un pò la ripetitività di certe situazioni, per cui tutto sommato, pur chiedendo il massimo del rigore e dell'obbedienza, lui i musicisti li rispettava molto, soprattutto se aveva stima di quello che facevano. A me per esempio chiedeva spesso di fargli sentire che cosa stavo scrivendo, e tra l'altro mi ha seguito come un amico fino a quando registrai Agnese, dolce Agnese, e avere una consulenza di quel tipo da uno come lui era una cosa decisamente gratificante.

A Lucio piacque molto questa dimensione di chitarra, basso e batteria, con i pezzi tutti cantati e suonati in diretta. Ed era una dimostrazione di grande coraggio cambiare così radicalmente rispetto al disco precedente, perchè passare dalle atmosfere di Anima latina ad un pezzo come Il veliero non era sicuramente facile. Io credo, e questa è una personalissima opinione, che quando Lucio arriva alla fine di un percorso non è che parte da quella fine per andare avanti, no, ricomincia proprio da capo, e sono pochi al mondo che se lo possono permettere un discorso del genere, soprattutto essendo coscienti di quello che stanno facendo.


È molto difficile rinunciare ad un certo modulo vincente per poi andare a vedere che cosa diavolo potrebbe succedere se si facesse in tutt'altro modo. Ed è, credo, la stessa molla che poi lo ha spinto a fare questi ultimi dischi, nei quali ha completamente rivoltato le carte in tavola della sua musica".


(Da Pensieri e parole di Luciano Ceri)


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