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ALBERTO RADIUS | LUCIO BATTISTI, LA CHITARRA ECCETERA ECCETERA...

Aggiornamento: 18 set 2022


Lucio oltre che un genio musicale era un caro amico e anche un compagno di lavoro, come dimostra la collaborazione costante con la Formula 3, di cui facevo parte e a cui forniva regolarmente le canzoni. Prima, all'epoca dei Quelli e dintorni, ero nell'equipe con cui provava e registrava di solito, assieme a Franz Di Cioccio, Giorgio Piazza, qualche volta Ivan Graziani. Io c'ero sempre, anche se non suonavo.


Lucio non era un virtuoso, ma aveva un'idea molto precisa della chitarra, di come dovesse essere usata in certe occasioni. Capitava che mi accennasse un riff o una sonorità "strana" e che poi toccasse a me di rifinirla. Aggiungevo qualcosa di mio, che di solito gli piaceva molto, ma il suo istinto artistico nello strimpellare lo spunto era stupefacente, era quello del creatore. Quando si registrava con lui, assieme a Franz, si cercava sempre di arrivare a un suono diverso da quello di tutti gli altri. Una ricerca che mi ha portato a comprare macchinari pazzeschi, anche fuori dall'Italia. Fortunatamente all'epoca delle registrazioni, possedevo già alcune chitarre speciali, una Les Paul del '58, una Fender del '54 e alcuni amplificatori dal carattere personalissimo. Con Lucio, che, come si diceva, era un amico, oltrepassavamo i limiti di quello che si sentiva all'epoca, con un po' di sana incoscienza e molto divertimento.


Insieme abbiamo condiviso diversi viaggi a Londra alla ricerca di nuovi armamentari, magari contendendoceli, fraternamente. Il punto cruciale delle registrazioni con Lucio Battisti stava nella sua continua ricerca di "qualcosa", che passava attraverso magari le imperfezioni, che però erano al servizio della ricerca. Questa attitudine mi ha insegnato tantissimo. In cambio, io ero sempre disponibile a portare le mie "macchine" in studio, a dare tutto quello che potevo per un amico: ho suonato si trecentocinquanta dischi altrui, ma difficilmente mi è capitato di trovare una sintonia del genere, che ruotava proprio sul mio strumento, la chitarra.


La chitarra è un aggeggio versatile, che non passa mai di moda. Del resto, Battisti aveva una concezione molto chiara dell'uso dei vari strumenti. In Dio mio no, a un certo punto, chiama direttamente "Baldan Baldan" e fa entrare l'organo di Baldan Bembo, il migliore, secondo me, a usare l'Hammond, rendendo la coda del pezzo incandescente. Era così, all'epoca: c'era molta eccitazione, si aprivano strade nuove.


A quel tempo le strade portavano altrove, al soul, alla Motown, eccetera, prendiamo per esempio Mi ritorni in mente: era un pezzo alla Blood, Sweat & Tears, che all'epoca in Italia pochi conoscevano. Io allora suonavo anche con un gruppo canadese, Chriss & The Stroke, che hanno finito per essere i responsabili del break della canzone, quando i fiati rallentano sempre di più: un tempo che nessuno, da noi, riusciva a tenere. Fu un colpo di fortuna, che ha reso quell'incisione memorabile.


Lucio scovava nuove idee e le persona adeguate per portarle avanti, era nel suo stile, non fossilizzarsi. Il suo più grande pregio, secondo me, è stato proprio quello di cambiare continuamente orizzonte, di non rimanere ancorato e un'idea fissa. Passava dalla passione per il soul a quella per una hit intramontabile come Hush dei Deep Purple. In una delle ultime volte che ci siamo visti, era il '90, mi disse che si stava interessando al rap. Gli piaceva molto anche Puccini. Alla fine, credo che non fosse appassionato di un genere preciso, ma che volesse raggiungere un risultato adeguato, giusto per lui, mescolando un po' di tutto. "Giusto" è il termine che mi viene in mente, per esempio, per una canzone avventurosa come Il tempo di morire, registrata una decina di volte, e poi emersa come una sciabolata di chitarra che era intoccabile. Non ho più incontrato nessuno così curioso e geniale, oltre che riservato, come Lucio.


Ho un solo dispiacere: mi è capitato di sentire una trentina di suoi brani, in finto inglese, mai incisi, che mi sembravano una gioia. Di questi pezzi purtroppo non potremo mai sapere niente altro di quello che ricordo io, perché Lucio non c'è più. Erano, ancora una volta, un segno di genialità istintiva, immediata. Peccato.


(Alberto Radius - da Lucio Battisti Masters, 2017)

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