top of page
  • Immagine del redattoreluciobattististory

LUCIO BATTISTI | IL NOSTRO CARO ANGELO Discografia Mondiale di Michele Neri

Aggiornamento: 17 apr 2022


Nell'estate del 1973 Lucio ritorna al Fonorama di Milano con il piano di lavoro per i brani che andranno a comporre il suo nuovo album, il terzo per la Numero Uno.

Per queste registrazioni Lucio si avvale ancora della collaborazione di Gian Piero Reverberi e, proprio su suo consiglio, convoca Bob Callero, bassista del gruppo progressive Osage Tribe. Dietro la batteria siede ancora una volta Gianni Dall'Aglio. Sono solo questi due i musicisti chiamati da Lucio e Reverberi per realizzare il disco: tutte le parti di chitarra verranno infatti suonate dallo stesso Battisti, che si occuperà anche di pianoforte e tastiere assieme allo stesso Reverberi.

In realtà Battisti utilizza anche parti di chitarra registrate da Massimo Luca, il chitarrista però non viene accreditato nelle note di copertina.

Come tecnico del suono viene riconfermato Bruno Malasoma; le registrazioni si tengono per l'ennesima volta nello studio B dei Fonorama, quello più piccolo. Lo studio contiguo (Studio A) è occupato da Ivano Fossati e Oscar Prudente che stanno registrando un album, in cui il batterista è Gianni Dall'Aglio (presente anche nel disco di Battisti, registrato a pochi giorni di distanza dal disco dei due cantautori). Non ci sono stati interventi di Lucio nel disco di Fossati e Prudente e viceversa.

In studio è sicuramente presente Mario Lavezzi che interviene, non accreditato e in fase di sovraincisione, in alcune canzoni come La canzone della terra, in cui, utilizzando lastre metalliche (come quelle usate nella realizzazione dei film per simulare i tuoni prima dell'avvento dell'elettronica), crea uno strano effetto sonoro, lo stesso Battisti interviene nella stessa canzone sia con effetti strumentali che vocali. Un ulteriore appunto sulle registrazioni del disco proviene da Gian Piero Reverberi: il musicista ha infatti affermato che l'ascolto del master semidefinitivo del lavoro, durante il soggiorno londinese compiuto a fine agosto per effettuare il missaggio dell'album, si accorge di alcune lacune nella stesura musicale dei brani. Reverberi si occupa di effettuare qualche sovraincisione, si tratta di piccoli dettagli: una marimba e qualche altra percussione, però sono pur sempre le uniche registrazioni di Battisti realizzate nei mitici studi Abbey Road. Dietro il banco del mixer siede John Leckie, all'epoca tecnico di belle speranze (aveva lavorato come assistente negli ultimi lavori dei Beatles e dei Pink Floyd) e futuro sound engineer di successo (John Lennon, XTC, Magazine). Leckie era intervenuto anche in fase di mastering nel precedente album di Battisti.

Al momento di ideare l'immagine di copertina si acuiscono le tensioni (esistenti già da qualche tempo) tra Mogol e Cesare Monti e quest'ultimo decide di non firmare la foto del nuovo trentatré giri (ciò rappresenterà comunque un caso isolato nel lustro 1971/1976!). Mogol al posto del "dimissionario" Monti, coopta pertanto alcuni suoi amici di uno studio grafico di Milano, lo studio G7. Ispirandosi alle sensazioni dettate dai brani del disco (fratellanza, ecologia, ante litteram ecc.), Mogol e Paolo Minoli, direttore dello studio G7, coinvolgono nove persone (sei uomini e tre donne, provenienti quasi tutti da Cantù e Milano) e un bambino (personificazione dell'innocenza/incoscienza delle nuove generazioni), con una diaria di duecentocinquantamila lire (allora, lo stipendio mensile di un neolaureato). Tra questi ci sono due docenti, Claudio Caimi (il pavone) e Lino Galimberti, un falegname (Angelo Terraneo) e due professioniste delle sfilate di moda del capoluogo lombardo. Ciascuna impersona un "punto di vista" delle tematiche espresse dall'album: vi sono quindi un uomo (il pasticciere Sergio Mambretti) che, con diverse bandiere issate sul cappello, palesa la voglia di unione fra popoli; un uomo-robot, la cui "corazza" è formata da diversi fustini di detersivi e scatole di conserva (critica alla pubblicità massificante, anche al centro del brano Ma è un canto brasileiro).

La speranza recondita che la terra riconquisti i propri spazi è invece rappresentata dall'interno della copertina, dove la radura (che fino a qualche tempo prima ospitava i dieci personaggi) torna a essere incontaminata. Questa immagine provocò commenti negativi da parte di alcuni paludati benpensanti che mal digerirono la presenza di due donne a seno nudo sulla copertina di un lavoro del cantautore reatino, nonché le critiche dello stesso Monti.


(Da "DISCOGRAFIA MONDIALE" di Michele Neri)

341 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page