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LUCIO BATTISTI | LE COSE CHE PENSANO (di Alexandre Ciarla)

Aggiornamento: 22 mag 2022


Le prime parole di Panella che il mondo udì pronunciare da Lucio Battisti furono le seguenti: "In nessun luogo andai / per niente ti pensai / e nulla ti mandai / per mio ricordo". Anche se non era forse la prima volta che un cantante non partiva, non pensava e non lasciava di sé alcun ricordo a una "lei" comunque, da subito, dovette sembrare chiaro a tutti che qualcosa era cambiato. Il primo brano dell'album "Don Giovanni" era il prototipo assoluto della canzone del disamore.

Partire, pensare e ricordare sono alcune delle situazioni tematiche più ricorrenti dello struggimento sentimentale e fanno parte del bagaglio retorico di ogni autore di canzoni d'amore. In questo primo verso l'oggetto della negazione sono solo alcuni dei più abusati luoghi comuni della retorica del cuore. Attraverso il sovvertimento di questi canoni Panella sembra deciso a liberare Battisti dal cliché dell'eterno innamorato. L'originalità della forma verbale nella quale sono declinati tutti i versi della canzone, lascia intuire che l'io cantante si sta riferendo ad un passato ormai lontano. Come se Battisti stesse in qualche modo rievocando se stesso prima della svolta.

Se, ad esempio, l'io della canzone si affaccia da una scogliera, questa volta egli sicuramente non si butterà giù di sotto. Tutto al più egli si godrà comodamente la vista sull'abisso, senza pensare minimamente a farla finita. Piuttosto egli passeggerà un po' annoiato sul bordo del mare, lungo il "mai", l'opposto di quel "sempre" delle promesse di amori infiniti che fino a quel momento la canzone tradizionale ci ha servito in tutte le salse: "Sul bordo m'affacciai / d'abissi belli assai / Su un dolce tedio a sdraio / amore ti ignorai / invece costeggiai / i lungomai". In Le cose che pensano il cantante non si strugge per la sua lei, piuttosto egli la ignora. Se c'è entusiasmo e incanto (che sono appunto il contrario della noia e del tedio del cantar leggero l'amore sul serio) è solo perché l'io della canzone è finalmente libero dal pensiero di lei. "Spensierato di te" dirà il cantante: "M'estasiai, ti spensierai / m'estasiai, e si spostò / la tua testa estranea / che rotolò". Questo verso è praticamente il contrario di E penso a te.

Battisti è distratto. Al suo disinteresse per "lei" si sostituisce lo stupore per quella testa che rotola giù. L'ermetismo di Panella è un giocare con la buona fede dell'ascoltatore, quella che senza mezzi termini egli stesso chiamerà imbecillità: giocare con l'ignoranza del pubblico è come giocare con le teste, come se fossero palle. Non c'è dunque da stupirsi se nell'ascoltatore di allora questi versi indussero un senso di disorientamento non appena incappò in questo uso "criminoso" del modo di dire. Perché è solo di questo che si tratta. Nella lingua italiana "perdere la testa" è sinonimo di innamorarsi. Per Pasquale Panella ogni modo di dire è già di per sé una metafora da riscoprire. Basta prendere alla lettera una frase fatta per generare immagini assurde ma dietro all'incomprensibile non c'è solamente il gusto ludico del non senso. In questa canzone è lei che letteralmente perde la testa, e non lui.

L'interprete non fa che assistere rapito alla scena surreale della testa che rotola a terra come una palla che fa le smorfie: "Cadere la guardai / riflessa tra ghiacciai / sessanta volte che / cacciava fuori / la lingua e t'abbracciai / Di sangue m'inguaiai". Sessanta giri su se stessa, sessanta forse come i secondi o i minuti di una scena assurda tra le freddure e il gelo di chi si fa beffa dei sentimentalismi. Sessanta zampilli di sangue che sguizzano con la frequenza cardiaca da una testa che invece caccia fuori la lingua come un automa da baraccone. Come se nulla fosse, l'io della canzone abbraccia la povera decapitata chiedendole sue notizie come durante un normalissimo incontro tra due vecchie conoscenze.

Se Battisti è Don Giovanni allora lei è l'ascoltatrice che finalmente ritrova il suo cantante preferito dopo quattro anni di silenzio da quel lontano 1982. È l'ora dei convenevoli: "Tu quindi come stai / se è lecito che fai / in quella attualità / che pare vera". L'ascoltatrice vive in una attualità che pare vera, nella parvenza di un presente. Quella che più tardi Panella chiamerà con il nome de "L'apparenza" (1988): il presente di una vita fondata sull'illusione che i sentimenti delle canzoni siano reali.

Ogni volta che esce un nuovo disco il cantante incontra l'ascoltatrice e le chiede "come stai?" come nella celebre battuta di Ancora tu nella quale due vecchi amanti si rincontrano per caso. Tuttavia Le cose che pensano è molto più verosimilmente il contrario di Mi ritorni in mente (1969). Il cantante non può ricordarla perché non l'ha mai conosciuta: "Come stai, ti smemorai / ti stemperai e come sta / la straniera, lei come sta". Come dire che "non mi ritorni in mente". L'interprete, infatti, non può ricordarla perché lei è un'estranea. Il contrasto tra l'intimità del sentimento ed il carattere massmediatico della canzone pop è tale che la domanda non può essere che "come sta lei?", non tanto per via della formula di cortesia per le persone estranee, quanto in riferimento a quel "lei" astratto di quasi tutte le canzoni d'amore: un "lei" generico che vale per qualsiasi ascoltatrice e che in un secondo momento Panella si diverte a declinare alludendo alla straniera e alla testa estranea. Nelle canzoni d'amore c'è sempre un io che pensa a una lei. Ma in questo caso il ricordo di lei non è sbiadito dal tempo o attenuato nella memoria, privato di quel giusto vigore della rimembranza che l'ha resa appunto una straniera. Il pensiero di lei, il suo ricordo, è semplicemente dissolto in quel mare magno che è la folla del pubblico dei dischi.

Non è "lui", il cantante, ad amare e rimpiangere l'ascoltatrice. Ma sono le cose che pensano: "Son le cose / che pensano ed hanno di te / sentimento / esse t'amano e non io / come assente rimpiangono te / son le cose prolungano te". Il titolo del brano, plausibilmente ispirato alle passioni delle merci, denuncia che sono le cose che pensano. Sono le canzoni che viaggiando nel mondo come prodotti di consumo, che pensano, amano, rimpiangono e prolungano l'ascoltatrice: il cantante non esiste, esiste solo la canzone. Ogni disco è come un fustino di detergente, un barattolo di minestra brandizzato con il nome del cantante. Ogni singola canzone è un prodotto che incarna un sentimento o una emozione. Sono dunque queste "cose" che hanno sentimenti e che possiedono pensieri, non è il cantante. Questo sembra dire la canzone a proposito di se stessa.

Se le merci (le canzoni che pensano) aumentano l'ascoltatrice prolungandone l'esistenza nel tempo, al contrario il cantante la attenua "stemperandone" l'immagine. E questa spensierata smemoratezza del cantante è una scelta: "La vista l'angolai / di modo che tu mai / entrassi col viavai / di quando sei / dolcezza e liturgia / orgetta e leccornia". Per evitare che l'immagine di lei potesse affacciarsi nell'andirivieni della vita, l'artista evita anche soltanto di immaginare i momenti più dolci in cui l'ascoltatrice resa languida dall'ascolto della canzone apparirebbe appetitosa come un bocconcino prelibato. Come la testa fuori quadro nella copertina di "Oh! Era ora", come una fotografia scattata di proposito sotto una particolare angolazione, Lucio Battisti con la sua fredda interpretazione non pensa a l'ascoltatrice e fa di tutto perché lei non entri nell'inquadratura dei suoi pensieri.

Questi di Panella sono dunque amari versi del disamore. Le canzoni sono solo merci e loro tutto al più sono responsabili di quelle passioni che di sicuro il cantante non prova. L'ascoltatrice è un'estranea. Battisti è tornato per dire al pubblico che quando declama frasi d'amore egli non prova alcun sentimento, la sua è solo l'arte di interpretare ed è sempre stato così sin dall'inizio. Non c'è mai stato nessun colpo di fulmine: "La prima volta che / ti vidi non guardai / da allora non t'amai / tu come stai (ah come stai)". Il cantante e l'ascoltatrice si ritrovano periodicamente ogni volta che la puntina solca il disco in movimento, ma a scanso di equivoci vale la pena ricordare che sono le canzoni che durano nel tempo, sono le merci che prolungano le emozioni provate dall'ascoltatrice e solamente da lei: "Rimpiangono te / son le cose, prolungano te / certe cose".


(Alexandre Ciarla - Da Don Giovanni a Hegel)



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