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RENATO MARENGO | L'INTERVISTA A LUCIO BATTISTI PER CIAO 2001

Aggiornamento: 11 ott 2021



In occasione dell'uscita di Anima Latina Lucio Battisti concede un'intervista a Renato Marengo, per Ciao 2001, nella quale illustra il senso del progetto artistico dell'album.

Ma l'aspetto più interessante di questa lunga chiacchierata è costituito dal fatto che in lui era già perfettamente chiara sin da allora quella esigenza di cambiamento che troverà poi in una compiuta e radicale realizzazione soltanto nel corso degli anni ottanta, ed in questo senso alcune delle affermazioni e degli intenti resi pubblici in questa occasione si riveleranno decisamente profetici.


Lucio Battisti: "Il pubblico è andato avanti, lo dimostrano del resto le classifiche: da alcuni anni a questa parte i primi posti sono in prevalenza occupati dai long-playing di personaggi che in tv vanno pochissimo o mai.

Oggi il rapporto tra artista e pubblico è mutato, oggi occorre coinvolgere il pubblico, farlo partecipare, provocarlo, stimolarlo, farlo sentire, insieme all'artista, attore ed esecutore di ciò che una volta doveva solo ascoltare, subire.

Io, proprio perchè le realtà sono mutate, ho rinunciato alla mia posizione di leader, ad essere l'artista, la voce che dall'alto della sua fama, della sua abilità o della sua esperienza, si concede, zittendo gli ubbidienti e sommessi fruitori del disco e del concerto.

Già in Il nostro caro angelo si avvertiva questa mia ironia verso il Lucio Battisti degli anni precedenti, questa demitizzazione, non per volontà suicida, non per autolesionismo, non per voler rinnegare, ma semplicemente per preparare il terreno all'azzeramento di una personalità monumentale, per azzerarla prima e successivamente umanizzarla al massimo, farla partecipare alla vita degli altri, conversare con gli altri, comunicare con gli altri per mezzo della musica, della voce anche, ma non più come prima, non più con la voce bella, forte, impostata, con frasi di effetto: con cose vere, dette in mezzo agli altri e in mezzo alla musica, non falsamente o ipocritamente modeste, solo uguali a quelle di tutti gli altri.


Quando uno parla in mezzo agli altri, non urla, ma non tace neppure, e se la sua voce interessa a chi ascolta, viene individuata in mezzo alle altre, magari con un poco più di attenzione, con un pò di fatica.

Questo ho fatto col mio ultimo long-playing: ho messo la mia voce in mezzo alla mia musica ed ho inteso stimolare gli altri a capire le parole, ad afferrarne il senso o la sola sonorità.

Ho inteso stimolare chi mi ascolta a fare attenzione a ciò che sta succedendo, a ciò che accade nel momento in cui si ascolta un brano non perchè questo sia piacevole ma perchè ascoltare significa qualcosa: e ascoltare con attenzione, magari rimettendo il disco daccapo perchè non si è capito, magari facendo irritare chi non è riuscito ad individuare al primo ascolto una parola, è un'operazione stimolante, coinvolgente.

È il modo che ho scelto per comunicare con gli altri, per essere presente in mezzo agli altri, per essere io quello che dà il pretesto, lo spunto ad un'azione, ad un'operazione. Quale? Non l'ho programmata, altrimenti continuerei a dettare, ad imporre; mi considero uno stimolo, ognuno poi reagisce col suo metro, con la sua volontà, con la sua cultura, sia essa dotta o istintiva.

Questo mio Long-playing, Anima latina, è per me un'operazione culturale, quasi un esperimento, e tale dovrà restare; ho fatto alcune considerazioni, alcune correlazioni con le altre arti la cui situazione più evoluta è senza dubbio quella iconografica, quella delle forme più recenti di pittura, di arte concettuale.

Per capire quanto avanti sia questo tipo di arte basti pensare a Picasso, a quello che ha significato la rottura, la provocazione dei primi esperimenti dell'artista, divenuti poi documenti, divenuti addirittura scuola, serviti da stimolo ed apertura per nuove cose.


Anche nella musica è utile fare oggi queste operazioni: nella musica contemporanea l'hanno già fatto, ma nel mondo delle canzoni, quello più vicino alle masse, quello più immediato, per la gente più semplice, ancora non è stato fatto, siamo ancora legati alla strofa, alla rima, sia pure trattandosi di cantautori, di brani impegnati e ricchi di significato; sono sempre cose che si subiscono. Questa sudditanza dell'ascoltatore deve essere modificata; non che tutti debbano comporre o far musica, ma partecipare si!

In pratica, proprio perchè mi sono sempre considerato avanti a tutto il resto, nella mia continua ricerca evolutiva era inevitabile che giungessi a conclusioni di rottura e al tempo stesso a premesse per un nuovo tipo di aperture, e il momento di passaggio si è verificato proprio in alcuni brani e situazioni accennate in Il nostro caro angelo, il mio precedente disco di un anno e mezzo fa. Sarebbe stato facile continuare dal podio della gradevolezza, imporre cose sempre nuove, ma sempre legate alla stessa struttura; facile ma inutile, per quel che mi propongo oggi di fare con i mezzi musicali a mia disposizione.

Ciò che ho fatto in questo ultimo disco è la risultante di anni di ragionamento, di esperienze accumulate, tesaurizzate, ma accantonate; non per questo inutili, anzi è proprio sulla base delle esperienze passate che è maturato il futuro della mia musica. Esperienza e volontà di sempre maggiore comunicazione, chiarezza, espressività, da una parte, situazioni coinvolgenti all'esterno, come visioni di altri mondi, di altre civiltà, dall'altra.


La mia lunga permanenza in Brasile, in sudamerica in genere, mi ha fatto prendere coscienza di un'altra dimensione della musica: musica come vita, come possibilità di stare insieme, di ballare insieme, di cantare insieme, di protestare insieme.

La musica brasiliana è una delle più vive oggi tra le musiche popolari del mondo; non ha perso la sua funzione che è soprattutto quella di consentire al popolo di esprimersi, di comunicare, di stare insieme. Soprattutto consente a chi è "in mezzo alla musica" di parteciparvi.

Ed è un grosso fatto sociale oltre che musicale. Partecipare alla musica (e quindi vivere, ridere, soffrire, esprimersi, pensare), non subirla, è la mia concezione conclusiva, oggi, di fare o di ascoltare musica. La voce, le parole, come gli strumenti, fanno parte di un tutto: musica, cantante, ascoltatore, esecutore. La musica naturalmente deve essere piena di respiri, di ritmi stimolanti, deve svolgere la prima operazione di coinvolgimento; una volta adempiuta questa funzione, la voce, i testi, debbono uniformarsi ad essa discretamente, essere amalgamati con gli strumenti, lasciare la possibilità a chi ascolta di scoprire sia la voce sia i significati dei testi.


È soprattutto in questa dimensione che ho concepito questo disco, la cui elaborazione è durata sei mesi. Infatti, pur avendo ben chiaro in testa ciò che volevo ottenere, non avevo la più pallida idea di come tradurlo in musica: ho dovuto provare e riprovare, sperimentare, e quindi i primi due mesi in pratica sono trascorsi preparando il materiale. Poi per quanto riguarda le cose semplici, devo dire che quanto più elementare è una linea musicale, un fatto ritmico, tanto più impegno occorre proprio per riprodurlo come tale. Una cosa è un concerto dal vivo, una cosa un disco che debba significare qualche cosa. Ho voluto sfatare un altro mito, oltre a quello della voce: il mito del Battisti che fa tutto in diretta, che registra in sala come se fosse in un concerto. Era un mito che oggi non serve più alla funzione comunicativa; l'effetto della voce deve essere quello di completare le situazioni musicali, non di sopraffarle; certe volte il volume è basso, certe altre volte la voce appare come distorta o addirittura stonata; fa tutto parte di un discorso di rottura, che però è al tempo stesso creativo. Diciamo che lo scopo principale è proprio quello di demistificare alcune situazioni false ed anacronistiche, di fare musica per gli altri, permettendo ad ognuno di ascoltare secondo la propria sensibilità, predisposizione o volontà. Cosa che cantando come si è fatto sino ad oggi non è certo possibile fare. Musicalmente ci sono molte arie, respiri ed aperture neolatine.


Perchè Anima latina? Perchè lì, tra quella gente semplice, tra quei suoni genuini e al tempo stesso pieni di felicità ma anche di denuncia, di realtà, ho ritrovato il mio spirito latino. con l'anglicismo e l'americanismo che ci hanno coinvolti in questi anni andavamo perdendo, proprio noi mediterranei più di tutti, lo spirito creativo, la vitalità che ci caratterizzano da sempre e che non sono morti, ma semplicemente addormentati dalla sudditanza all'America dei frigoriferi e dei consumi. L'America Latina mi ha scosso da certi torpori, ma già da qualche anno avevo dentro un senso di rivolta, sentivo che la strada giusta non è quella degli altri, che la cultura degli altri può violentarci, sopraffarci ma non potrà mai diventare nostra.


Basti pensare che, per ammissione degli stessi inglesi, i nostri testi, le nostre concezioni sono intraducibili per loro: perchè è il nostro temperamento ad essere intraducibile. Con la musica brasiliana, argentina, sudamericana in genere ho sottolineato questi stati d'animo, ma in pratica ho recuperato il mio stesso spirito creativo mediterraneo, latino come e forse più di quello sudamericano. Questo disco, al di là della sua concezione melodica, dei suoi effetti sonori, è in pratica il punto di passaggio definitivo tra il mio ieri e il mio domani. È già un fatto musicale di cui sono soddisfatto, un fatto nuovo, ma è senza dubbio un punto di rottura.



I sei mesi impiegati a registrarlo sono passati soprattutto negli ascolti, nei ripensamenti, non negli abbellimenti, anzi col presupposto (non col problema) di render quanto meno vanesio possibile il tutto. È per questo che ho voluto usare un Eminent al posto di una grande orchestra d'archi; altri, al posto mio, avendo raggiunto in pratica l'apice nella musica leggera, forse avrebbero convocato l'intera orchestra della Scala per superare in maniera magnificante tutto quello fatto in precedenza".


(Da Ciao 2001 del 1974, uno stralcio dell'intervista di Renato Marengo)


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